IL BLU
Nell’antichità i colori base erano il nero, il bianco e il rosso, il blu era un colore secondario, come del resto il verde e il giallo. Per i Romani il blu era il colore dei barbari (Cesare e Tacito ci hanno raccontato che di questo colore si tingevano Celti e Germani per spaventare i loro avversari), era un colore sminuente, o addirittura eccentrico, nonché associato alla morte e al lutto (avere gli occhi azzurri appariva un difetto), e una donna vestita di blu non era considerata proprio un modello di virtù. Nell’alto Medio Evo di blu (un blu sbiadito, si intende, tipo quello dei moderni jeans) si vestono solo i contadini.
Resistente a climi estremi, si mantiene intatto nei secoli. E non c’è solvente ultramoderno che riesca ad aggredirlo. Il segreto del blu Maya, il pigmento turchese che caratterizza opere d’arte, offerte votive e ricopriva il corpo delle vittime sacrificali dell’antica civiltà, è rimasto a lungo un mistero.
Ora gli scienziati hanno scoperto come questo popolo realizzava il colore, che è stato definito una delle grandi conquiste artistiche e tecnologiche della Mesoamerica. Il risultato si deve ai ricercatori americani del Wheaton College dell’Illinois e del Field Museum di Chicago, secondo i quali la preparazione era strettamente collegata ai riti dei sacrifici. Il pigmento, usato dai Maya nella Mesoamerica, l’area compresa fra la fine delle piane desertiche del Nordamerica e l’Honduras, in un periodo che va dal 300 e il 1.500 d.C., ha destato da sempre l’interesse di chimici e fisici dei materiali per la sua particolare stabilità chimica e per la resistenza agli acidi, alle intemperie e al clima durissimo della regione. Il blu, spiegano i ricercatori, era il colore dei sacrifici per gli antichi Maya che dipingevano con questo pigmento il corpo delle vittime umane .
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