Non è della figura storica del Giotto che qui si vuol raccontare, in quanto la sua immagine – come spessore che ha “dominato” silenziosamente il proprio secolo nel ramo che gli è stato più amato – è nota: sia a coloro che ne hanno studiato sui libri d’arte, sia a coloro (la minor parte) che si sono accostati al personaggio con la curiosità di un bambino ed il timore reverenziale di un adepto.
Ebbene, ho scritto adepto, non a caso. Perché la figura di Giotto, come precursore e antesignano dell’ermetismo e del simbolismo, in pochi son riusciti a digerirla, troppo stridente con quella sua “coerenza commissionale”- ovvero il creare su ordinativo-, sempre fedeli al riscontro storico narrativo di chi in lui vede un “grande” che ha solo interpretato egregiamente le necessità comunicative dei dogmi, anche religiosi, in auge nel 1300.
Ma proprio il 1300, inspiegabilmente, fu un epoca di grande fermento, “silenzioso”, e Giotto ne assaporò e degustò in “silenzio” ogni sua scoppiettante onda sotterranea.
Non è un caso che ancora oggi nessuno sia in grado di stabilire con certezza documentale, come nell’analogo caso di Giordano Bruno, la data della sua nascita, quasi sia “arrivato giù” inosservato, già “pronto” alla sua funzione.
Come già detto in altra nota, forse la necessità di “viaggiare con un basso profilo” risiede nella motivazione che certi Geni quando giungono hanno la propria missione nel messaggio, nella funzione, e quella di Giotto era esattamente – al di là delle magnificenze che creò perché anche Architetto, secondo l’etimo prettamente alchemico del termine – esternata nel “Cerchio” perfetto che lì dove esser lasciata a dormire, perché si svegliasse al momento giusto: non un attimo prima, non uno dopo.
La “O” di Giotto, volgarmente chiamata, è la sintesi di un dono che Angiolo (detto Giotto) ha voluto lasciare affinchè ulteriori Geni, a lui successivi, potessero ricordare che il “Cerchio” perfetto in realtà altro non è che il rimando a “qualcosa” di “altro”.
Onestamente viene da domandarsi in cosa consisterebbe la specialità di questo cerchio, quando Giotto ci ha lasciato opere pittoriche ed architettoniche ben più preziose, suggestive e di infinità belta.
Obiettivamente vien da pensare perché questa “O”, un semplice tratto lineare, alla fine, anche solo nominalmente, identifica e ha identificato nei secoli, la grandezza di Giotto, forse anche più della sua miglior volta o del suo più famoso affresco.
Siamo esseri pensanti, credo, e io me lo sono domandato per il noto principio che “il sopracciglio alzato” è meglio della più splendente delle “lucine colorate”.
Dietro quel “cerchio” perfetto credo ci sia di più di un tratto lineare curvo, formato da un numero X di puntini consequenziali l’uno all’altro, uniti tra loro da un moto di volontà.
Quella “O” di Giotto è il simbolo di una grandissima scoperta, non solo dell’arte pittorica o architettonica, ma oserei dire coscienziale-evoluzionistica.
Giotto, da imperterrito realista, sperimenta il VOLUME e le sue leggi oscure (per oscure si intenda non conosciute).
Come ogni sua opera ci parla del suo percorso artistico, pregno della tradizione artistica classico-gotica (sembra un ossimoro ma non lo è, e lo spiegheremo in altra nota sul Sigillo del Re Salomone), così il suo “Cerchio” perfetto sintetizza altro.
Riflettiamo insieme: il medioevo oscurantista è alle porte, anche se si dovrà attendere ancora più di un decennio al suo galleggiar legalizzato da un libro di storia. Tra poco (a-temporalmente parlando) saranno i tempi di un cambio vibrazionale potente: Caravaggio, Giordano Bruno, Elisabetta I, Bacone son tutti lì, in attesa. E certi Esseri tra cui Giotto (potremmo paragonarlo a Giovanni il Battista, ma differentemente da quest’ultimo, voce SILENTE nel deserto), spesso giungono a preannunciare qualcosa. Quando i tempi però non sono pronti, costoro lasciano piccoli indizi, piccole pietre o grandi macigni (come già fece prima di lui, ad esempio, Publio Ovidio Nasone, in altra epoca topica della Storia, nelle sue “Metamorfosi” di cui consiglio la lettura con Cuore aperto).
Così Giotto ci lasciò questa “meraviglia”, incomprensibile a molti ancora oggi.
Incomprensibile perché riflettendo, ragionando di logica, non credo che nessuno avesse disegnato un cerchio prima di Angiolo; a titolo esemplificativo cito solo gli Assiri, i Sumeri e gli Egiziani che vissero molto tempo prima di Giotto.
Credete che anche il più asino tra questi popoli non fosse in grado di disegnare un elementare cerchio?
Allora, la specialità di questa “O” sta in altro; ed è stata lì in tutta la sua semplicità e nitidezza in “silenzio” (stato emozionale ed esistenziale tipico di questo personaggio), FINCHE’ qualcuno dopo di lui la “raccolse” in un’Opera perfetta, ancora oggi pietra miliare di chi con umiltà si accosta alla perigliosa strada della Ricerca. E così dal “cerchio”, lineare e silente, rappresentazione fisica su un piano, gradualmente si giunse al “cerchio coi sedici raggi” di Filoteo che, “applicandovi” il VOLUME, solo accennato e perfettamente custodito in quel tratteggio di punti curvi, colse l’Arcano segreto, che è alla base del suo Trattato sulla Mnemotecnica, ossia: la Memoria è SFERICA (CERCHIO + VOLUME) ed è nel contenuto (il volume) che dobbiamo applicare il nostro miglior discernimento per cogliere i successivi segreti.
Voglio azzardare: credo che il numero preferito di Giotto fosse il due. Non a caso Michelangelo Buonarroti trasse da lui i migliori segreti, al punto che essi di lui ne fecero uno dei Fari più illustri dell’Umanità, al di là e al di sopra di ogni arte.
Annalisa Rosati.
03 Mag