L’unione delle meccanica quantistica con la relatività ristretta
porta a predire l’esistenza di
cause collocate nel passato e di cause collocate nel futuro
Nel suo “Dialoghi sui Massimi Sistemi” Galileo Galilei dà una descrizione molto chiara del principio di relatività galileiana. Egli immagina un osservatore in una stiva di una nave che esegue una serie di osservazioni sulla caduta dei gravi. Galileo mostra che, per questo osservatore, è impossibile conoscere la velocità del moto della nave mediante esperimenti che si svolgano esclusivamente all’interno della nave stessa, in quanto tutti i punti di riferimento si muovono alla stessa velocità dell’osservatore. Galileo nota, però, che per un osservatore fermo sulla spiaggia le velocità dei corpi sulla nave si sommeranno o si sottrarranno alla velocità della nave stessa. La relatività di Galilei consiste in un insieme di regole di trasformazione che consentono di generalizzare le leggi della fisica a tutti i sistemi inerziali.
Tuttavia, nel 1887 due fisici statunitensi, Albert Michelson ed Edward Morley, costruirono uno strumento sufficientemente preciso per lo studio del flusso dell’etere: l’interferometro. Nonostante una fase complessa di progettazione e di realizzazione, l’esperimento si trasformò nel fallimento più famoso nell’ambito della ricerca scientifica. Invece di dimostrare l’esistenza dell’etere Michelson e Morley si trovarono avanti all’inatteso paradosso della costanza della velocità della luce, in base al quale la velocità della luce non si somma alla velocità del corpo che la emette. Ad esempio, immaginiamo un astronauta su di una nave spaziale che si sta muovendo molto velocemente verso la Terra a 20mila km/s (chilometri al secondi) e che spara con un cannone laser un raggio di luce verso la Terra (alla velocità di 300mila km/s). Un osservatore sulla Terra non vedrà il raggio arrivare alla velocità di 320mila km/s, come vorrebbe la relatività di Galilei, ma lo vedrà arrivare a 300mila km/s (in quanto la velocità della luce è una costante). L’osservatore sulla Terra, in base alla relatività di Galilei, dovrebbe concludere che l’astronauta vede la luce muoversi a 280mila km/s (cioè i 300mila km/s della velocità della luce da lui osservata meno i 20mila km/s della nave spaziale). In contrasto con queste previsioni, tuttavia anche l’astronauta vede questo fascio di luce muoversi a 300mila km/s. La costanza della velocità della luce portò a concludere che il principio della relatività di Galilei non è universale e che, di conseguenza, non è possibile generalizzare le leggi della fisica a tutti i possibili sistemi di riferimento.
Nel 1905, analizzando i risultati ottenuti da Michelson e Morley, Einstein si vide costretto ad invertire il principio sul quale si basa la relatività di Galilei, al fine di riconoscere il fatto che la velocità della luce è costante e ristabilire in questo modo la possibilità di generalizzare le leggi della fisica a tutti i possibili sistemi di riferimento. L’intuizione di Einstein è fondamentalmente semplice, mentre nella relatività di Galilei il tempo è costante e la velocità sono relative, Einstein si rese conto che se la velocità della luce è costante il tempo deve essere relativo. Einstein formalizzò questa sua intuizione nella teoria della Relatività Ristretta o Relatività Speciale che si basa sull’equazione energia/momento/massa che definisce un nuovo insieme di regole di trasformazione:
E2 = m2c4 + p2c2
Dove E indica l’energia, m la massa, c la costante della velocità della luce e p il momento.
Poiché questa equazione è di secondo grado, cioè tutta elevate al quadrato, è necessario utilizzare radici quadrate che portano sempre a due soluzioni, una positive e una negative. Nel caso dell’equazione energia/momento/massa la soluzione positiva descrive materia ed energia che si muovono in avanti nel tempo, mentre la soluzione negative descrive materia ed energia che si muovono a ritroso nel tempo.
Per Einstein la soluzione positiva coincide con la realtà immanente del mondo fisico, mentre la soluzione negative coincide con la realtà trascendente della religione. Concluse perciò che i fisici si dovevano interessare unicamente alla soluzione positiva e, considerando il fatto che nei sistemi inerziali il momento è uguale a zero (p=0), suggerì di semplificare l’equazione energia/momento/massa nella famosa E=mc2 che ha sempre soluzione positiva. Tuttavia, l’equazione E = mc2, da tutti associate ai lavori di Albert Einstein, era stata pubblicata per la prima volta nel 1890 da Oliver Heaviside e perfezionata da Henri Poincaré nel 1900 e da Olinto De Pretto nel 1903.
Alla fine del XIX secolo i fisici si trovarono avanti ad un altro paradosso. In base alle leggi della fisica classica un “corpo nero” (che in fisica indica il sistema ottimale di emissione delle radiazioni termiche) emetterà picchi di potenza infinita di radiazione in quanto l’energia termica si concentrerà sulle frequenze più elevate, le frequenze ultraviolette. Fortunatamente questa previsione, nota come catastrofe ultravioletta, non si osservava in natura. Il paradosso venne risolto il 14 dicembre 1900 da Max Planck, quando presentò un articolo alla società tedesca di fisica, in base al quale l’energia è quantizzata. Planck suggerì che l’energia non cresce o diminuisce in modo continuo, ma in base a multipli di unità fondamentali, che Planck definì come la frequenza del corpo (v) e una costante fondamentale uguale a 6,6262٠10-34 joule٠secondo, conosciuta come costante di Planck. Planck descrisse la radiazione termica come composta di pacchetti (quanti), alcuni piccoli, altri larghi a seconda della frequenza di vibrazione del corpo. Sotto la dimensione del quanto, la radiazione termica sparisce, evitando in questo modo la formazione di picchi infiniti di radiazione nella frequenza degli ultraviolette e risolvendo in questo modo il paradosso della catastrofe ultravioletta. Il 14 dicembre 1900 è oggi considerato la data di nascita della meccanica quantistica.
Nel 1924 Wolfgang Pauli, uno dei pionieri della meccanica quantistica, scoprì che gli elettroni hanno uno spin, un momento (p) che non può essere uguale a zero. Di conseguenza quando si combinano assieme meccanica quantistica e relatività ristretta è necessario utilizzare la formula estesa E2 = m2c4 + p2c2 e non la formula ridotta E = mc2. Nel 1925, in base a questa considerazione, due fisici Oskar Klein e Walter Gordon formularono una equazione di probabilità che poteva essere utilizzata nell’ambito della meccanica quantistica e che era invariante da un punto di vista relativistico. Tuttavia, la soluzione dell’equazione di Klein-Gordon richiedeva una radice quadrata che portava a due soluzioni. La soluzione positiva descrive onde, materia ed energia che si propagano dal passato al futuro, mentre la soluzione negativa descrive onde, materia ed energia che si propagano a ritroso, dal futuro al passato, introducendo così nella scienza la nozione di cause finali e di tendenza teleologica. La soluzione negativa dell’equazione di Klein-Gordon fu subito considerata inaccettabile in quanto entra in contraddizione con la legge della causalità, in base alla quale le cause devono sempre precedere gli effetti, e in quanto implica che la realtà immanente e quella trascendente non possono essere separate tra loro e che scienza e religione si devono perciò unire in una nuova disciplina. Nel 1926 Erwin Schrödinger semplificò l’equazione di Klein-Gordon nella sua famosa equazione d’onda (ψ) dalla quale la componente relativistica era stata rimossa. Schrödinger prese in considerazione unicamente la soluzione positiva dell’equazione di Klein-Gordon che tratta il tempo essenzialmente in modo classico.
Nel 1927 Niels Bohr e Werner Heisenberg svilupparono l’Interpretazione di Copenhagen della meccanica quantistica. Questa interpretazione si basava unicamente sulla funzione d’onda di Schrödinger e non prendeva in considerazione la relatività ristretta. Bohr e Heisenberg spiegarono la dualità onda/particella nel modo seguente: la particella si propaga come onda e quando si effettua la misurazione l’onda collassa nella particella. Questa interpretazione giunge alla conclusione che l’atto di osservare (di misurare) crea la realtà in quanto fa collassare l’onda (la potenzialità) nella particella (la realtà). Di conseguenza la coscienza (che è alla base dell’atto di osservazione) è un prerequisito della realtà. L’Interpretazione di Copenhagen può essere considerata l’espressione dello spirito del tempo, lo Zeitgeist, in quanto incarna l’idea di uomini con poteri simili a degli Dei che, tramite l’esercizio della coscienza, possono creare la realtà. Quando Erwin Schrödinger scoprì come Heisenberg e Bohr avevano utilizzato la sua equazione, con implicazioni ideologiche e mistiche che davano poteri di creazione alla coscienza, commentò: “Non mi piace e mi dispiace averci avuto a che fare”.
Nel 1927 Klein e Gordon formularono di nuovo la loro equazione come combinazione della funzione d’onda di Schrödinger’s (meccanica quantistica) e l’equazione energia/momento/massa della relatività ristretta. Le soluzioni di questa equazione sono due: una positiva che descrive onde che si propagano dal passato al futuro (onde ritardate) e una negativa descrive onde che si propagano dal futuro verso il passato (onde anticipate). Nel 1928 Paul Dirac cercò di eliminare la soluzione delle onde anticipate utilizzando l’equazione energia/momento/massa nello studio relativistico dell’elettrone. Con grande disappunto si trovò avanti alla duplice soluzione: elettroni (e–) e neg-elettroni (e+, l’antiparticella dell’elettrone). L’equazione di Dirac prevede un universo fatto di materia che si muove in avanti nel tempo e di antimateria che si muove a ritroso nel tempo. L’antiparticella dell’elettrone, che fu inizialmente chiamata neg-elettrone da Dirac, fu osservata sperimentalmente nel 1932 da Carl Anderson e rinominata positrone. La soluzione negativa dell’equazione di Klein-Gordon e di Dirac causarono reazioni di sconcerto e di disappunto. Ad esempio Heisenberg scrisse a Pauli: La teoria del neg-elettrone è spazzatura e come tale va trattata”, “La teoria del neg-elettrone segna il momento più cupo della fisica moderna”, “Il neg-elettrone ha reso Jordan depresso”. Nel tentativo di rimuovere la scomoda soluzione negativa Paul Dirac, nel 1931, utilizzò il principio di esclusione di Pauli, secondo il quale due elettroni non possono condividere lo stesso stato, suggerendo che tutti gli stati di energia negativa sono occupati, impedendo di conseguenza ogni possibile interazione tra stati positivi e stati negativi della materia. Il Modello Standard della fisica si basa su questo assunto di un mare di energia negativa, chiamato appunto il mare di Dirac.
Ben presto il dibattito scientifico tra meccanica quantistica e relatività ristretta venne inquinato e avvelenato dalla politica. Nell’aprile 1933, durante un viaggio negli Stati Uniti, Einstein apprese che il nuovo governo tedesco aveva emanato una legge che escludeva gli ebrei da qualsiasi carica pubblica, compreso l’insegnamento universitario. Un mese dopo, il 10 maggio 1933, il ministro per la propaganda Joseph Goebbels proclamò che “l’intellettualismo ebraico è morto” ed ebbe luogo il rogo dei libri, tra i quali anche i lavori di Einstein. Il nome di Einstein figurava nella lista dei nemici del regime che dovevano essere eliminati e venne offerta una ricompensa per chi avrebbe portato la sua testa. Nei giornali tedeschi Einstein venne annoverato tra i nemici del nuovo regime tedesco con accanto la frase “non ancora impiccato”. Le pubblicazioni e i libri di Einstein furono bruciati, la sua villa alla periferia di Berlino venne saccheggiata, il suo conto bancario bloccato, e il suo violino distrutto. Hitler era stato convinto della pericolosità della scienza ebraica dal libro “100 Autori contro Einstein”. La teoria della relatività venne messa al bando e stigmatizzata come deliri di un nemico del Terzo Reich, cospirazione della scienza ebraica, mentre l’Interpretazione di Copenhagen venne accettata e diventò parte integrante dell’ideologia nazista.
Einstein considerava che la causalità fosse sempre locale e che l’informazione potesse propagarsi a velocità inferiori o uguali a quelle della luce, ma mai più veloce. Partendo da questi assunti Einstein rifiutò l’idea che l’informazione relativa al collasso della funzione d’onda potesse propagarsi ad una velocità superiore a quella della luce e, nel 1934, formulò il paradosso EPR che prende il nome dalle iniziali delle persone che hanno contribuito a formularlo (Einstein-Podolsky-Rosen). Il paradosso EPR rimase senza risposta per più di 50 anni. L’EPR venne presentato come un esperimento concettuale, al fine di dimostrare l’assurdità dell’Interpretazione di Copenhagen, sollevando una contraddizione logica. L’EPR nasce dalla scoperta di Pauli che gli elettroni hanno uno spin e che una stessa orbita può essere condivisa unicamente da due elettroni con spin opposto (il principio di esclusione di Pauli). L’Interpretazione di Copenhagen conclude che coppie di elettroni che hanno condiviso lo stesso orbitale rimangono correlate (entangled) mostrando sempre spin opposti, indipendentemente dalla loro distanza, violando in questo modo il limite della velocità della luce nella propagazione dell’informazione. Nessuno si aspettava che l’esperimento EPR potesse essere realizzato, tuttavia nel 1952 David Bohm suggerì di sostituire gli elettroni con i fotoni e nel 1964 John Bell mostrò che la modifica introdotta da Bohm apriva la strada alla possibilità di realizzare l’esperimento. A quell’epoca, in realtà, neppure lo stesso Bell riteneva che quell’esperimento potesse davvero essere eseguito. Ma gli sperimentatori accettarono quasi subito la sfida. Nel giro di vent’anni diversi gruppi erano arrivati vicini all’esecuzione delle misurazioni necessarie con la precisione richiesta; è comunemente accettato che sia stato proprio il risultato ottenuto dall’équipe di Aspect, pubblicato nel 1982, a sancire definitivamente che Einstein (e con lui il comune buonsenso) dovevano arrendersi alla realtà del mondo quantistico e alla non-località delle sue regole. La proprietà quantistica misurata da Aspect è la polarizzazione del fotone, che può essere immaginata come una freccia che punti o verso l’alto o verso il basso. E’ possibile stimolare un atomo in modo che produca simultaneamente due fotoni, i quali si dirigono in due direzioni diverse. Nel complesso, le polarizzazioni dei due fotoni devono cancellarsi: se la freccia del primo è su, l’altra dev’essere giù. Ogni fotone nasce con una polarizzazione definita, e il suo partner con la polarizzazione opposta, ed entrambi mantengono tale caratteristica originaria nel loro viaggio nello spazio. Tuttavia, secondo l’Interpretazione di Copenhagen, qualsiasi entità quantistica che abbia la possibilità di una scelta del genere esiste in una condizione di sovrapposizione di stati, ovvero una miscela delle due possibilità, finché (in questo caso) la sua polarizzazione non viene misurata. A quel punto, e solo a quel punto, vi è ciò che viene definito “collasso della funzione d’onda”, in seguito al quale viene fissata una delle due possibilità. Tuttavia, la controparte del fotone che viene misurato deve anch’essa trovarsi in una sovrapposizione di stati, almeno fino al momento della misurazione. Poi, nel preciso istante in cui la misurazione del fotone A causa il collasso della funzione d’onda, la funzione d’onda del fotone B (che potrebbe, in linea di principio, trovarsi ormai dall’altra parte dell’universo) deve collassate nello stato opposto. La riposta istantanea del fotone B a ciò che accade al fotone A è proprio ciò che Einstein definì “azione fantasma a distanza”. L’esperimento realizzato da Aspect misura la polarizzazione in base ad un angolo, che può essere variato, rispetto alle frecce all’insù e all’ingiù. La probabilità che un fotone con una certa polarizzazione passi attraverso un filtro disposto con un certo angolo dipende dalla sua stessa polarizzazione e dall’angolo tra la sua polarizzazione e il filtro. In una realtà non-locale mutare l’angolo con il quale si sceglie di misurare la polarizzazione del fotone A finirebbe per alterare la probabilità che il fotone B passi attraverso un filtro polarizzatore sistemato con un angolo diverso. Inoltre, l’esperimento non riguarda soltanto due fotoni, ma interi fasci di fotoni, ovvero serie di coppie correlate che sfrecciano attraverso l’apparecchiatura una dopo l’altra. Bell aveva mostrato che se Einstein aveva ragione il numero di fotoni che passano attraverso il filtro polarizzatore B doveva essere inferiore a quello che passa attraverso il filtro A. Ciò prende il nome di disuguaglianza di Bell. Tuttavia, l’esperimento di Aspect dimostra l’esatto contrario, che il primo valore (A) è in realtà sempre inferiore al secondo valore (B). Per dirla altrimenti, la disuguaglianza di Bell viene violata e il comune buonsenso incarnato da Einstein perde la sfida. Sebbene l’esperimento di Aspect sia stato motivato proprio dalla teoria quantistica, il teorema di Bell ha implicazioni molto più vaste e la combinazione del teorema di Bell e dei risultati sperimentali rivela una delle verità fondamentali dell’universo, ovvero che ci sono rapporti di correlazione che hanno luogo istantaneamente, indipendentemente dal grado di separazione tra gli oggetti implicati, e che sembrano esistere segnali che possono viaggiare a velocità superiore a quella della luce.
Come conseguenza del paradosso EPR e dei risultati degli esperimenti di Aspect sull’entanglement e la non località, la meccanica quantistica e la relatività ristretta sono in genere considerate incompatibili anche se entrambe sono accurate nel predire i risultati degli esperimenti.