Parlare di se stessi a cuore aperto comporta grande dolore.
Ed ancor di più doloroso è quando si voglia parlare della propria sorella, della propria figlia o della unica migliore amica. Sì, proprio così; perché credo che qualunque ragazza del nostro tempo, ma anche di quelli passati, avrebbe voluto essere (anche solo in sogno) o avere una figlia, una madre un’amica come lei, Lucrezia Borgia.
Capiamo benissimo che tale dichiarazione possa destabilizzare chi, soprattutto, ha preferito supinamente e sterilmente catalogare tale donna come “figlia” del proprio contesto storico e della propria discussa casata. Eppure, vi garantiamo, che la vostra opinione su Lucrezia sarà parecchio diversa (o almeno ce lo auguriamo) una volta che avrete letto questa nota.
Lucrezia Borgia ebbe l’indiscusso privilegio di essere una nobildonna, in una famiglia potente, anzi nella famiglia più potente dell’epoca. Fu figlia molto amata (fuori dalle leggende diffamatorie che la vollero amante del padre-papa e del fratello), figlia UNICA, unico fiore al femminile tra i numerosi figli di Alessandro VI, papa. Ciò fu certamente la sua fortuna, in quanto Lucrezia imparò bene, e già in giovanissima età, che ogni privilegio ha il suo risvolto della medaglia.
Nata con un dono preziosissimo (il dono del Sapere Alchemico), non subì nessuna persecuzione o tortura (pratiche molto in voga a quei tempi, ove ogni sospetta strega veniva arsa viva) sol perché era la figlia del Papa, ma dovette celare la sua Conoscenza, in quanto (come accade spesso) i tempi non erano ancora maturi per affermare che la Magia che ella praticava, altro non era che la Scienza che nel 1700 ci avrebbe donato l’Arte della Chimica e della Biologia. Avete capito benissimo: Lucrezia Borgia era una scienziata naturalista, niente di più, nulla di meno, ed era parecchio sperimentale, con tanto di catalogatori in cassettini, sportellini, bustine, pinze e ampolle.
Come spesso capita, da questa sua inclinazione nacquero voci di corridoio in merito alla natura stravagante ed oscura del suo genio. Si diceva – ad esempio – che Lucrezia possedesse un anello cavo (in cui deponeva la polvere di Cortinarius orellanus), che usava spesso per avvelenare le bevande (ovvero che usasse nei suoi banchetti dei funghi epatotossici che uccidevano a distanza di tempo i suoi invitati così da non destare sospetto). Si sosteneva anche che per ottenere la mistura era necessario cospargere di arsenico le viscere di un maiale appena ucciso. Quando la massa putrefatta era secca, veniva ridotta in polvere. La violenza tossica di questo composto uccideva in ventiquattro ore, fra atroci tormenti. Con questo anello poteva uccidere con una carezza o immergendolo nella bevanda del malcapitato.
Di tutto questo, però, nei documenti dell’epoca, e soprattutto nei carteggi degli ambasciatori, non si trova traccia (la disinformazione come instrumentum regni esisteva già da alloracome ottimo modo per garantire o avversare il potere). Anzi, Lucrezia veniva sempre citata come Madonna decorosissima, sia perché in realtà si crede non fosse capace di tante atrocità per sperimentale la propria sete di conoscenza; sia perché forse perché, in caso contrario, si sarebbe meritata il podio d’onore quale strega del secolo (il che le sarebbe valso il rogo, a lei figlia del Papa). Preferiamo immaginarla come una silenziosa studiosa che al mattino usciva sul patio a consegnar mollichine di pane ai cardellini.
Certo, se aveste mai modo di incontrarla e vi offrisse del vino, attenzione!! Consigliamo prudenza: potrebbe trattarsi di cantarella, soprannominato “il vino di Lucrezia” : è il filtro che rese famosa la famiglia Borgia di Roma, una porzione velenosa ottenuta facendo evaporare urina in un contenitore di rame e mescolando i sali così ottenuti con arsenico. L’alcalinizzazione e la trasformazione in sale dell’arsenico, attraverso l’ammoniaca contenuta nell’urina, conferisce a questo minerale una elevatissima tossicità. Accertatevi prima bere con un esame di laboratorio, o tramite prezioso olfatto, del contenuto.
Bando alla nota ironia, la verità probabilmente sta nella via media, ossia nel fatto che come in ogni secolo e contro ogni potere costituito, numerosi anche allora fiorirono i detrattori. E uno di questi ebbe particolare vigore nel diffamare la famiglia Borgia, il Papa e, conseguentemente, anche Lucrezia.
Questi era Burcardo di Strasburgo, maestro di cerimonie in Vaticano. Secondo il suo dire Lucrezia e suo padre organizzavano sabba satanici, quello passato alla storia come il “Il ballo delle castagne” (o delle nocciole?), una specie di orgia ideata da Cesare. Sempre lui fu il più convinto sostenitore dei rapporti incestuosi della donna con il Papa, suo padre, e con suo fratello Cesare, fino a giungere ad asserire che l’Infante Romano, il primo figlio di Lucrezia, sarebbe nato proprio da un incesto, arrivando addirittura a definire Rodrigo Borgia l’Anticristo, nel Concilio Lateranense del 1516. Vari testimoni all’epoca affermarono di avere visto scimmie nere sorvegliare la sua camera, altri di aver visto il Papa firmare un patto con il diavolo. In quegli anni la figura del demonio prende la forma del toro, presente nello stemma nobiliare della famiglia Borgia. Sarà vero? Non sapremo mai.
Per quanto possa starci poco simpatico, Burcardo, come molti, desiderava, in vero, solo mettere freno alla potenza dei Borgia; invece, inaspettatamente (ma poi non troppo) diede forma a queste e altre leggende che addirittura sono sopravvissute al potere reale che la famiglia aveva, fino ai giorni nostri.
Molto probabilmente queste storie scaturirono dall’odio profondo che il Papa era riuscito ad attirare su di sé, tanto che la riforma luterana ha origine proprio dalla sua condotta immorale.
L’immagine di una Lucrezia responsabile dei più orrendi misfatti fu sancita anche da Victor Hugo, nel suo dramma Lucrèce Borgia del 1833, e su quella più drammatica di figlia-oggetto del padre e della ragion di stato che potrete facilmente appurare consultando le enciclopedie cartacee e on line che a migliaia riportano la triste e turpe fama della famiglia Borgia, che valse a screditare fino a qualche decennio fa, nell’immaginario collettivo di numerose generazioni successive, la figura della donna.
Lucrezia se certo non fu virtuosa (nel senso che non si fece monaca carmelitana, né mai ne ebbe simile vocazione) non fu di certo quell’orrenda persona che la tradizione (diffamazione) storiografica ci ha consegnato. Amava la cultura e le arti, e fu amata duchessa nella Ferrara di Alfonso d’Este, suo marito, che amò sinceramente e che collaborò attivamente nella reggenza della città che, grazie al suo spirito da mecenate, fiorì di una bellezza e floridezza mai avute prima. Ferrara è Ferrara grazie alla Borgia che, difformemente da come viene descritta, amava i piccoli borghi preferendo pianure e vallate agli stucchevoli muri del Vaticano. Un affresco realistico e molto curato nei minimi particolari della persona di Lucrezia parecchi decenni fa, venne fatto da Maria Bellonci, verso la fine degli anni Trenta del Novecento, alla quale va il merito di aver restituito all’immaginario collettivo una donna più equilibrata e storicamente attendibile (si consiglia vivamente la lettura del testo in questione da cui abbiamo tratto alcuni spunti di riflessione per questa nota).
Spesso dovette recitare una parte che non amava, ma molte altre volte mostrò, soprattutto nelle vesti di governatrice di Spoleto e di duchessa di Ferrara, di possedere una volitività ed un’audacia non comuni per una donna del suo tempo.
Bellissima nell’aspetto, all’arte del governo applicò la disciplina del “fioretto” (e non ci riferiamo alla penitenza in senso stretto, seppur negli ultimi anni di vita ella ebbe a percorrere proficuamente la via spirituale). Lucrezia amava molto le spade ed i pugnali, e nel conoscerli aveva tratto una grande virtù, la prudenza. Dote che fu ampiamente fraintesa, fino a divenire un’ombrae di calunnia verso la sua persona, ossia la falsità storica che la volle donna ambigua al punto che le vennero attribuiti i delitti più infamanti e vennero a lei mosse accuse sordide, come quella, forse più imprecisa ma subdolamente perversa, di aver partecipato alle trame sanguinose di cui fu protagonista la sua famiglia.
Certo è che, nonostante l’accanimento con cui di lei si è scritto, delle sue vere o presunte turpitudini poco si è potuto realmente provare, non avendo nei secoli gli storici e i critici trovato alcuna prova documentale, seria e probante circa le allucinazioni diffusesi sul suo conto.
Poco nota invece è la tempra di Lucrezia Borgia che seppe sempre comportarsi con coraggio anche nei rovesci della sorte, e non dimenticò mai la sua vocazione (missione) di protettrice delle arti e della cultura, per mezzo delle quali arricchì la sua corte e venne ricordata con rispetto, ma mai col merito che le è dovuto.
Veleni, tradimenti e perversioni, leggendariamente, sono sicuramente le parole associate più frequentemente al nome di Lucrezia Borgia, ma in realtà di diabolico ben poco v’era in ella, se non quel vizio capitale di luciferina memoria, ovvero la Conoscenza, il Sapere.
Pare avesse occhi chiari e lunghi, biondi capelli, bellissima, che portava spesso sciolti (almeno così appare in Pinturicchio, ne la “Disputa” di Santa Caterina con i filosofi).
Di recente però è stato ritrovato a Melbourne, in Australia, un quadro dipinto da tal Dosso Dossi, un pittore che lavorò molto per gli Este, e recenti studi tecnici del quadro hanno portato a concludere che la donna rappresentata potrebbe essere proprio Lucrezia Borgia, seppur a lungo si è creduto che il quadro non rappresentasse nemmeno una donna, perché nelle mani tiene un pugnale (inadatto ad una figura femminile d’epoca), ma un ragazzo.
Invece la possibilità che la ragazza ritratta dal Dossi sia Lucrezia è più che verosimile, seppur l’artista l’abbia raffigurata in una insolita espressione inquietante: con un pugnale, uno sguardo triste, ma allo stesso tempo distaccato e freddo, un vestito semplice e nero, contro ogni ostentazione di fasto .
Grazie ad una lunga analisi tecnica e di perizia condotta dal restauratore di dipinti della NGV, Carl Villis, è emerso un incredibile risultato: la bellissima tela ovale sarebbe opera di Niccolò di Giovanni Luteri, più noto come Dosso Dossi (1486-1542) – un contemporaneo di Tiziano, Raffaello e Michelangelo – artista di cui si hanno poche notizie documentate, ma che gli esperti concordano nel collocare a Venezia durante la formazione, periodo in cui avrebbe assorbito la lezione di cromatismo di Giorgione e Tiziano, e poi come pittore della vivace corte di Ferrara, dove avrebbe sviluppato il suo linguaggio pittorico.
Il dipinto è stato realizzato tra il 1515 e il 1520, proprio il periodo in cui Dossi lavorava alla corte estense, dove Lucrezia Borgia viveva. Ciò che avvalorerebbe l’ipotesi del Dossi come autore risiede nella forma del dipinto, l’ovale, molto utilizzato dall’artista e poco diffuso a quell’epoca.
Già così la scoperta sarebbe stata rilevante, un’attribuzione artistica rimasta in sospeso per anni che ha finalmente un autore, il Dossi, ma la vera rivelazione riguarda il soggetto ritratto e il modo in cui è stato descritto. Ci sono diversi indizi che inducono a pensare che si tratti di una figura femminile, a partire dallo sfondo decorato con mirto e fiori. Solo pochissime donne all’epoca potevano essere così importanti da avere l’onore di essere ritratte e Lucrezia Borgia era senz’altro una di loro.
Nell’opera del Dossi sembra essere smentita l’esistenza corrotta e intrigante della nobildonna, che qui appare composta, gentile, compassata, con i capelli ordinatamente raccolti, serrata in lineamenti fini ed aggraziati, chiusa in un serioso ed elegante abito nero. Il pugnale forse è un rimando, un simbolo, un codice che probabilmente Lucrezia volle si inserisse nell’Opera. Probabilmente per ricordare qualche particolare segno distintivo di una sua nuova venuta e di lì ricavarne la strada per tornare alla sua origine. Chissà, ovviamente non lo sapremo mai. A quanto pare l’unica tangibile somiglianza della sua figura a disposizione sarebbe un ritratto in una medaglia di bronzo, eseguito nel 1502, quand’era duchessa di Ferrara. E anche dal raffronto, dicono gli esperti, parrebbe che “la ragazza dal pugnale” sia proprio lei, Lucrezia Borgia (e tanto bionda non pare fosse).